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sporco\
vivo

Ritorno al tempio è un workshop e una installazione, una mostra ma è soprattutto un concetto. Quello su cui ci affacciamo è un mondo che deve iniziare a fare i conti con il post Antropocene ma che deve anche ritornare a fare i conti con i millenni di storia sacra umana. Seguendo l’ambizioso progetto di ri innamoramento del sacro, del ri-appropriarsi di una intimità e interlocuzione col divino, di una necessità di ritualità collettiva e di ri incantamento, questo workshop vuole essere una giornata dedicata alla costruzio- ne di una costruzione volta alla preghiera.

Un tempio, una chiesa o un cunicolo, un mitreo o una grotta, un edificio abbandonato o una scatola di cartone sono tutti ambienti sterili se vengono privati del culto e del sacro. Se gli ultimi anni del novecento si sono dedicati con intensità alla dissacrazione, questo è il momento della ri consacrazione. Un sacro che abbia le mani e i piedi sporchi, che sia contaminato, animistico, mistico, antispecista, magico, divertito, sincero.

Durante questa giornata e avendo a disposizione molti materiali effimeri e di facile reperibilità e uso comune, costruiremo insieme un ambiente sacro nel quale far vivere e abitare una piccola dea. A lei, durante la resistuzione, offiremo poi i nostri omaggi, ciascuno qualche piccola cosa che possiede, e a lei e con lei dedicheremo e inventeremo le nostre preghiere.

Non si tratta di una performance ma di una parentesi di reale costruzione, consacrazione e distruzione, un mandala abitabile che andrà a comporre un tempio dentro gli spazi di hercole, a Milano.

Fra i materiali a disposizione ci saranno:
cartone, pittura, legno, argilla, stoffa, plastica.

Il mantra si ripete e va ripetuto, scandito e inciso sulla roccia: “siamo compost, non postumani; abitiamo l’humusità non l’umanità.” E’ quindi nell’accettazione dell’essere noi stessi materiale organico, effimero, molle e decomponibile, che intrecciamo finalmente e di nuovo un legame con il cosmo. In questo il compost diventa il linguaggio universale del cosmo. E diventa sacro, animista, intriso di tutta la magia della vita, della scienza,

“arte, scienza, animismo, insieme a tutte le contaminazioni e infezioni evocate da ognuno di questi termini”.

Il tempio

L’idea del Tempio del Compost nasce da tanti piccoli momenti lontani. E’ nata studiando Dubuffet in università, quando sentii parlare per la prima volta di un’arte pensata per essere effimera. E’ nata in campagna, nel mio frigo, nella parete umida del bagno. E’ nata nei miei venti traslochi, nei cartoni dipinti e appesi ai muri troppo umidi. E’ nata in quelle case anguste bolognesi troppo piccole e bagnate per vivere in modo salubre. Avevo un muro, dietro la testiera del letto, così bagnato da rendermi insopportabile il sonno. Lo coprii con un cartone che dipinsi per abbellire la camera-sgabuzzino. Dopo qualche mese il muro bagnato dietro il cartone era ammuffito e anche il cartone era ora pieno di spore fungine. La pittura, liquida e informe, lasciava intravedere il marrone del cartone sottostante e io la trovavo bellissima. Pensai a come avrei potuto dipingere sempre più in grande su cartone. Iniziai una relazione di amicizia con una santa che mi aiutò in un periodo disperato: lei era Santa Rita e il suo potere era proteggere le cause perse. Mi partì un fortissimo senso del sacro, non religioso ma estremamente panteistico. Ex voto, sassi, miracoli, api, rose, cimiteri, ricami, muffe: tutto cio’ aveva iniziato ad assumere un valore mistico e pieno di magia. L’arte effimera ci ricorda che moriamo, tutti. E ricordarci di morire ci fa sentire le cose con più forza, ci connette. Ecco quindi che con queste premesse costruiremo il Tempio. Canne di bambù a reggere impalcature sottilissime e fragili, guardiani e angeli di argilla cruda a proteggere negli angoli, nicchie di fango e soffitti di cellphane e stoffa. Sulle pareti tutto intorno, incastonate fra piccole nicchie di cartone, sculture di pane microscopiche simili a presepi o retablos, dipinti liquidi e informi o dettagliatissime icone. Tutto è necessariament organico. Niente è duraturo. Come un mandala che è tanto prezioso perchè non duraturo, questa cappella vuole essere essere vivente e morente. Il processo di decomposizione sarà attuato dalle persone che a loro volta porteranno i loro doni di qualsiasi natura alla dea che avrà casa in questo nuovo edificio. Esistere insieme, morire insieme, rigenerarsi insieme. Questo è il senso che io credo abbia una comunità e più in generale, la vita. Temp(i)o di compost gioca con le parole e ci chiama a far parte di questa nuova era organica, che per esistere, ha bisogno di collettività e fede nelle cose che sono vive. Durante la restituzione presenteremo anche la fanzine Buon compleanno Piccola Dea, realizzata in serigrafia e fotocopie con Zanna dura, piccolo libricino di preghiere e ritagli dedicato proprio a questi temi mentre in allestimento ci sarà una piccola mostra di quadri e opere.

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